Si riferisce a quell’insieme di
comportamenti presenti in persone molto accudenti e protettive, sempre
tese a compiacere, gratificare e giustificare l’altro, anche a costo di
sacrificare i propri bisogni e se stesse. La persona “soccorritrice” si occupa
di chi ama, con dedizione completa e assoluta abnegazione, assecondando se non
anche anticipando i bisogni del partner al punto tale da ignorare le
proprie esigenze e necessità, mettendo da parte ogni velleità in nome di un
amore che ci fa sentire vive e utili.
Le donne sono culturalmente e socialmente le più
predisposte a sviluppare questo schema relazionale disfunzionale, sono portate
a “servire ed accudire” portando all’eccesso opposto il loro spirito materno,
nel tentativo di rendersi indispensabili per l’altro e mettersi così al
riparo da un’eventuale abbandono e separazione. E’ chiara l’influenza
socio-culturale che per secoli ha visto la donna come angelo del focolare,
educata al servizio e al sacrificio e che realizza se stessa solo nel
compimento del suo “dovere” di figlia, moglie e madre, prendendosi cura
dell’altro con smisurato spirito salvifico.
L’altro diventa quindi un mezzo e non un fine, un
modo per colmare il vuoto affettivo ed esistenziale che le crocerossine si portano
dentro. Il partner diviene oggetto d’amore incondizionato e indiscusso, messo
su un piedistallo e da lì mai più rimosso, soccorso sempre e comunque di fronte
a qualsiasi ostacolo, anche a scapito del proprio benessere.
L’ “oggetto” d’amore è spesso un partner
problematico, misterioso, inafferrabile che si sa essere una partita persa in
partenza, ma diviene una missione, una sfida.
A volte diventa una vera e propria fantasia
d’onnipotenza per la quale barattano l’amore: “Io ti salverò e sarò tutto per te,
mentre tu non potrai fare a meno di me e anche per riconoscenza mi amerai!”.
Si tratta di amorevoli attenzioni dietro cui in
realtà si cela il tentativo di manipolare l’altro, legandolo a doppio filo a sé:
se io ti curo e mi rendo per te indispensabile, necessariamente mi amerai e non
mi lascerai mai. Dal canto suo l’altra persona si lascia spesso accudire e
“salvare”, pur tuttavia poi rivendicare la propria autonomia non appena
ritrovato il proprio equilibrio. L’altro diviene così vittima ed al contempo
carnefice di una partner che, spogliata del suo ruolo di redentrice, deve fare
i conti con la paura dell’abbandono, del rifiuto e con un forte senso di
inadeguatezza.
Il tentativo di “risollevare” il partner conduce
infatti l’altro a sottrarsi prima o poi dal ruolo di dipendente: ribelle,
risentito e critico, cerca la propria autonomia e la compagna, in questo
contesto, da risorsa diviene ostacolo. Allora la relazione si sgretola e la
donna piomba nella disperazione più profonda. Il suo insuccesso è totale: se
non si riesce a farsi amare neppure da un uomo così misero e inadeguato, come
può sperare di conquistare l’amore di un uomo migliore e più adatto a lei? Si
spiega così come mai queste donne fanno seguire a una cattiva relazione una
peggiore: con ciascuno di questi fallimenti sentono diminuire il loro valore. E
sarà per loro difficile rompere questa catena finché non saranno giunte a una
comprensione profonda del bisogno che le porta a comportarsi così.
Simili comportamenti di accudimento possono servire
ad ipercompensare uno schema relazionale di deprivazione emotiva, per cui la
persona, certa di non poter avere l’amore di cui ha bisogno, cerca di
assicurarsi “briciole di affetto” dell’altro, annullando se stessa ed i
propri bisogni.
Soddisfare i desideri dell’altro e sentirsi
indispensabile, oppure, al’opposto, contare su di lui per gestire e regolare la
propria vita, significa per la persona, cercare di ottenere l’amore non
ricevuto nell’infanzia, colmare quel vuoto interiore.
In un certo senso l’accudimento e la protezione
nei confronti dell’altro, è in realtà anche una sublimazione del desiderio di
curare, accudire, proteggere quella parte di sé che ha sofferto e soffre, ma
che tuttavia trova giovamento nel dedicarsi completamente a qualcuno, nell’illusione
di poter trovare finalmente quell’amore che durante l’infanzia è stato loro
negato.
Fare di tutto per amore, assumersi la
responsabilità della felicità altrui e rendere l’altro responsabile della
nostra, accudire in tutto e per tutto e anticiparne a volte anche i bisogni,
per chi è affetto dalla sindrome da crocerossina, è l’unico modo
conosciuto di amare. Si tratta spesso di bambini e bambine cresciuti in
famiglie in cui, la maggior parte dei messaggi verbali e non, erano negativi,
improntati ad un “amore condizionato”, ad un “ti voglio bene se..”,
contesti in cui la svalutazione o l’indifferenza la facevano da padroni,
caratterizzati spesso da mancanza di amore o da un padre dittatoriale e madre
iperprotettiva.
E’ fondamentale riconoscere la “tossicità” di
questi amori basati sul rapporto vittima-carnefice. I legami di questo tipo
rischiano di incancrenire entro la dinamica della sfida, nell’illusione di
farcela, di salvare l’altro. E’ importante sapere che nessuno cambia a meno che
non lo voglia davvero, e per farlo serve coraggio e tenacia. E’ importante
capire la “gratuità dell’amore”. Le donne soccorritrici pensano, infatti, di
“doverselo guadagnare” attraverso azioni di cura e accudimento, quasi a
garanzia della continuità del rapporto. E’ utile soffermarsi sui propri vissuti
abbandonici e fare i conti con la consapevolezza che niente e nessuno può
garantirci il “per sempre” né metterci al riparo dalle separazioni. E’
fondamentale smettere di percepirsi come satellite dell’altro, ma imparare a chiedersi
come stiamo, come ci sentiamo e di cosa abbiamo bisogno. Lavorare su se stessi,
sulla propria autostima, ascoltando le proprie emozioni, sentendo se stiamo o
meno ricadendo in copioni che, per quanto noti e comodi, in realtà ci
porteranno di nuovo a soffrire. Chiediamoci cosa vorremmo davvero e iniziamo
col fare la più piccola cosa che potrebbe servirci per stare bene.
Riferimenti Bibliografici
“Donne che amano troppo”,Robin Nordwood, 1989,
Feltrinelli Ed.
“La dipendenza affettiva”, Daniel Pietro, 2012
Ed. Paoline
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